lunedì 30 novembre 2009

IL CANTO DEL BEATO 1 di 2


La Bhagavad Gita (titolo originale) è un testo sacro tra i più importanti della storia dell’umanità. E’ considerato dagli hindù alla stregua della Bibbia per i cristiani e del Corano per i mussulmani, avendo però una differenza sostanziale:
Nelle religioni monoteiste c’è “un libro” che domina incontrastato nella dottrina, pur con le sue diverse interpretazioni. Nell’induismo invece i testi sacri sono innumerevoli.
Ci sono i quattro Veda, tanto cari a Schopenhauer, le 108 Upanishad riconosciute, il Mahabarata (il più lungo poema epico della storia dell’umanità, di cui la Bhagavad Gita è il 18° canto), lo Srimad Bhagavatam, il Ramayana ecc.ecc. Ogni testo ha una sua funzione nel multiforme mondo induista, il cui pantheon è molto variegato, pieno di divinità che suscitano in noi una certa curiosità.
I Veda sono comunque la base di tutti i Darshana, i punti di vista, le vie considerate ortodosse per la realizzazione spirituale nella “religione induista”. Le Upanishad sono i commenti ai Veda, considerati però sempre scritture rivelate da Dio, così come lo sono le altre. La Bhagavad Gita raccoglie e sintetizza la conoscenza vedica in un modo che da secoli ormai la porta ad essere il testo più amato in India, oltre ad essere il più diffuso nel resto del mondo.
Il Mahatma Gandhi lo citava spesso come punto di riferimento etico assoluto, e nel mio percorso spirituale ha avuto un ruolo di non secondaria importanza. Molte delle pagine di questo testo sono indelebilmente scritte dentro di me, come la rinuncia al frutto delle azioni, l’esposizione della natura umana e divina, l’inevitabilità del proprio ruolo e lo scontro tra le forze del bene e del male che s’accingono a combattere nel campo di Kurukshetra, che può essere tradotto anche come corpo umano.
Prima della grande battaglia Arjuna, il protagonista, l’eroe, il cui carro viene guidato da Krishna, incarnazione divina, Dio fatto uomo, guarda quello che sarà il teatro dello scontro, e vedendo i due schieramenti contrapposti, i Pandava, di cui Arjuna è il condottiero, ed i Kaurava, che hanno un esercito decine e decine di volte superiore in numero, viene preso dallo sconforto. Non perchè sia un codardo, ma perchè i Kaurava sono cugini, tra i nemici ci sono i suoi maestri, antichi compagni, pedine di un gioco più grande di loro.
Vuole rinunciare alla lotta, per non uccidere persone che ha amato, e che ama.
Krishna però lo redarguisce severamente. Arjuna è uno ksatrya, della casta dei principi e dei guerrieri, ed il suo compito è quello di combattere. Per il divino Avatar nessun uomo può sfuggire al suo dovere. I risultati però sono in mano a Dio, all’Essere assoluto, e così insegna ad Arjuna cosa è la giusta azione, come si comporta un uomo retto. Il Pandava lo interroga e Krishna gli dice ciò che va fatto, lo istruisce sulla vera sapienza spirituale.
Il Mahatma Gandhi utilizzò tutta la vita la Bhagavad Gita come fondamento etico, come testo di riferimento, ed il suo commento viene considerato uno dei più autorevoli della storia dell’India. Altri uomini però hanno utilizzato lo stesso testo vedendo altro, interpretandolo diversamente dal profeta della ahimsa, la non-violenza.
Un testo sacro non è solo quello che c’è scritto, ma è anche come viene interpretato.
Le Fatwa, le sentenze vincolanti dell’Islam, sono interpretazioni del Corano su tematiche che ai tempi di Maometto non esistevano. Le varie congregazioni cristiane leggono cose diverse, traducono addirittura in modo diverso. Su questo scriverò in futuro un altro post.
Torniamo al nostro “Canto del beato”.
Nello stesso periodo storico nel quale visse il Mahatma un altro uomo si racconta portasse con sè la Bhagavad Gita in ogni dove, che la prendesse come punto di riferimento, come chiave d’interpretazione dello stato delle cose. Nonostante fosse cresciuto in un ambiente cattolico era un profondo studioso delle antiche culture e della sapienza orientale. Il suo sogno era quello di creare una casta di monaci-guerrieri, che riportasse allo splendore il popolo che millenni prima aveva conquistato l’India.
Il suo nome era Heinrich Himmler.
Chi non conoscesse questo signore può trovare delle informazioni al riguardo qui.

sabato 28 novembre 2009

IL TEMPO DELLE METAMORFOSI




"Io sono Kinnall Darival e intendo dirvi tutto di me stesso. Questa affermazione è così strana, per me, che vederla scritta mi colpisce come un grido.
La guardo sulla pagina e la riconosco scritta di mio pugno, lettere rosse, alte e dritte sul ruvido foglio grigio, e vedo il mio nome e sento nella mente gli echi degli impulsi cerebrali che hanno generato queste parole.
Io sono Kinnall Darival e intendo dirvi tutto di me stesso. Incredibile."

Così inizia il romanzo che regala il titolo al primo post di questo blog.

Nella vita di chi ama leggere a volte ci sono libri che ti trasformano, che ti fanno crescere, che ti cambiano dall'interno. Sono libri che mostrano strade e pensieri che aprono porte nel tuo mondo interiore. Segui nuovi sentieri e ti senti un essere nuovo.

Perché sei divenuto un essere nuovo.

"Il tempo delle metamorfosi" per me è stato un libro fondamentale. A tal punto che il mio nickname in ogni forum, in ogni post, in ogni blog è sempre il nome del protagonista del romanzo.
Scritto da Robert Silverberg, autore poco conosciuto, ma di assoluta importanza per la storia della fantascienza moderna, questo libro però (come quelli da lui scritti tra il 1968 e il 1975) non è solo un libro di fantascienza.

E' la storia di un mondo nel quale è vietato parlare di sé in prima persona, dove dire "Io" è la peggiore delle bestemmie, dove l'annullamento di sé è la principale regola di vita. Ed è la storia di Kinnall Darival, figlio di un eptarca, di un re, della sua lotta contro lo stato delle cose, dopo che il terrestre Schweiz gli fa provare una droga, prodotta nel continente proibito del pianeta Velada Borthan, che annulla la barriera delle anime. Una sostanza che consente a coloro che la prendono insieme di conoscere i più oscuri recessi dell'anima dell'altro, fino ad essere UNO.

Quello che ho provato leggendo questo romanzo mi accompagna ancora nei miei pensieri di oggi, nella mia visione spirituale, in ciò che vivo ogni giorno.

Così quando ho cominciato questo post sapevo di cosa dovevo scrivere, quale doveva essere il primo titolo. In un tempo di metamorfosi.

Ecco le ultime frasi di questo meraviglioso romanzo:
"Và e cerca. Và e tocca. Và ed ama. Và e apri il tuo cuore. Và e sentiti guarito."